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Pediatri: ogni anno 100mila bambini ricoverati in reparti per adulti

Presentato Libro Bianco FIARPED dell’Assistenza Pediatrica

Roma, 5 dic. (askanews) – Mai più bambini ricoverati in reparti per adulti. Questo il messaggio che arriva in occasione della presentazione del Libro Bianco dell’assistenza pediatrica in Italia della FIARPED (Federazione delle Società Scientifiche e delle Associazioni dell’Area Pediatrica) che si è tenuta oggi al Ministero della Salute per mettere a fuoco i problemi emergenti della Pediatria italiana specie dopo l’impatto della pandemia. I dati dei ricoveri pediatrici relativi agli anni 2019-2021, elaborati con un sistema dedicato di Business Intelligence Sanitaria da Fondazione ABIO Italia, sulla base delle informazioni fornite dal Ministero della Salute e presentati in anteprima all’evento, evidenziano che negli ospedali generali circa un bambino su 4 (26%) nella fascia 0-18 anni viene ricoverato in reparti per adulti, una situazione che in termini assoluti ha riguardato nel 2021 oltre 112 mila minori tra 0 e 18 anni. Il fenomeno ha connotazioni diverse a seconda dell’età: tra 15 e 18 anni ben il 70% finisce con gli adulti; tra i 5 e 14 anni il 36%; tra 1 e 4 anni il 15%, e seppur in percentuale molto ridotta (2,1%) succede persino ai piccoli di età compresa tra 0 e 12 mesi. Molto variabile è il comportamento delle regioni oscillando da un minimo del 14% di minori ricoverati con adulti registrato nel Friuli-Venezia Giulia al 44,5% del Molise, con 9 regioni sopra la media nazionale.

A 15 anni dalla diffusione della Carta Abio-Società Italiana di Pediatria (Sip) che si proponeva di indicare i presupposti per il rispetto dei diritti del bambino in ospedale, tali diritti non sono quindi pienamente applicati in maniera equa e omogenea sul territorio nazionale, soprattutto negli ospedali generali che non hanno uno specifico indirizzo pediatrico.  Proprio la difesa della specificità pediatrica, ossia il diritto dei bambini da 0 a 18 anni a essere curati dai pediatri e in ambienti dedicati, è la principale istanza che emerge dal Libro Bianco. La pubblicazione raccoglie i contributi delle 36 Società associate a FIARPED e riporta un’analisi delle criticità esistenti e una sintesi propositiva distinta per specialità, offrendo così una panoramica e una strategia condivisa e comune sulla riorganizzazione dell’assistenza pediatrica. “La nostra principale preoccupazione è far sì che i bambini non siano curati dai medici degli adulti e in luoghi di cura progettati in funzione delle caratteristiche dell’adulto, ma da professionisti formati sui problemi clinici dei bambini e in spazi di cura a loro dedicati, perché è noto e ampiamente dimostrato dalla letteratura scientifica che questo ha un impatto sulla qualità e sulla sicurezza delle cure pediatriche”, afferma Annamaria Staiano, Presidente della Società Italiana di Pediatria (SIP) e co-presidente FIARPED. Un problema che riguarda in maniera particolare alcune specialità pediatriche, a cominciare dalle Terapie intensive pediatriche. Negli ultimi tre anni (dato disponibile 2019-2020-2021) 6.254 minori sono stati ricoverati nelle terapie intensive, di questi quasi la metà, ossia 2.754, pari al 44%, sono finiti nelle terapie intensive per adulti, numeri che però devono ritenersi approssimativi attesa l’assenza di un codice Ministeriale che identifichi una Terapia Intensiva Pediatrica. Tra le specialità in cui si assiste più spesso al ricovero di minori con adulti l’ortopedia e traumatologia (34%), e a seguire la chirurgia generale e l’otorinolaringoiatria (16%). Particolarmente delicata la situazione della neuropsichiatria infantile, come spiega Elisa Fazzi Presidente della SINPIA (Società Italiana Neuropsichiatria Infanzia e Adolescenza) e co-presidente di FIARPED: “L’esplosione delle richieste per disturbi psichiatrici gravi e acuti sta saturando i posti disponibili, compromette le risposte per disturbi neurologici gravi e complessi per i quali è indispensabile una competenza specialistica.  Il 30% dei ricoveri per disturbi neuropsichiatrici in età evolutiva avviene in reparti psichiatrici per adulti e il 10% dei ricoveri psichiatrici avviene in stato di necessità in reparti psichiatrici per adulti, nonostante tale collocazione sia gravemente inappropriata”.

Fonte: askanews.it

Il vero ed il falso per la salute della mamma e del bambino

Tra falsi miti, incertezze e informazioni spesso trascurate, l’alimentazione della donna durante la gravidanza suscita numerose domande. Una delle credenze più diffuse è che una donna incinta debba “mangiare per due”. Ma quanto è fondata questa affermazione? E le famose “voglie” vanno sempre assecondate oppure è meglio evitare?

Mangiare per due: vero o falso? Durante la gravidanza, è essenziale soddisfare i bisogni nutrizionali sia della madre che del nascituro, ma ciò non significa necessariamente mangiare per due. “L’alimentazione in gravidanza non differisce molto da quella normale – spiega Marco Grassi, ginecologo dell’ospedale “C. e G. Mazzoni” di Ascoli Piceno – il fabbisogno calorico aumenta di 350 kcal al giorno nel secondo trimestre e di 460 kcal nel terzo trimestre, secondo il Ministero della Salute, questo incremento energetico leggero garantisce lo sviluppo del feto senza intaccare le riserve nutritive materne”. L’aumento di peso raccomandato dipende dal peso iniziale della donna e, in condizioni normali, dovrebbe essere tra 11,5 e 16 kg. Un adeguato aumento di peso influisce positivamente sulla durata della gravidanza e sul peso del neonato. Per questo motivo, è essenziale seguire una dieta equilibrata con pasti distribuiti durante la giornata.

Voglie e bisogni nutrizionali “Le voglie in gravidanza non sono indicatori delle reali necessità nutrizionali – chiarisce il dottor Grassi – l’alimentazione della gestante richiede attenzione, soprattutto per l’aumento del fabbisogno proteico, mentre le necessità di carboidrati e grassi rimangono pressoché stabili. Una dieta variata che includa frutta, verdura e legumi copre generalmente i bisogni vitaminici, eccetto per l’acido folico. Anche i minerali, come calcio, ferro e iodio, sono sufficientemente assunti con un’alimentazione equilibrata”. È fondamentale quindi seguire una dieta completa, diversificata e che comprenda ogni giorno i diversi gruppi alimentari.

Caffè ed alcol si o no? Il consumo di caffè è una preoccupazione comune tra le future mamme. “Il caffè, così come altre bevande contenenti sostanze stimolanti ad esempio il tè, la cola ed il cioccolato, dovrebbe essere assunto con moderazione, poiché la caffeina attraversa la placenta – spiega il dottor Grassi. È consigliabile optare per bevande decaffeinate o deteinate”. Inoltre, è fondamentale evitare l’alcol in tutte le sue forme, anche in piccole quantità, per prevenire malformazioni congenite e basso peso alla nascita, noti come sindrome feto-alcolica.

Cibi da evitare Evitare di consumare verdure crude non lavate accuratamente, carne cruda (a meno che non sia stata congelata), insaccati poco stagionati e carni affumicate, poiché possono provocare la Toxoplasmosi. Evitare anche pesce crudo, latte non pastorizzato, formaggi molli, e cibi pronti come carni fredde, insalate preconfezionate e panini. Per garantire la sicurezza alimentare, separare gli alimenti crudi da quelli cotti, consumare i prodotti sempre entro la data di scadenza e conservare gli alimenti a una temperatura inferiore ai 5 °C. Inoltre, mantenere il frigorifero pulito, in particolare se contiene carne cruda, come suggerito dall’Istituto Superiore di Sanità.

Alimenti consigliati Consumare verdura e frutta di stagione ogni giorno, lavata in modo accurato con abbondante acqua corrente, consumare carne e uova ben cotti, limitare gli zuccheri semplici, prediligendo carboidrati complessi come pasta, pane e patate (Ministero Salute).

Inoltre, il dottor Grassi sottolinea come un consumo di pesce di 3-4 porzioni/settimana in gravidanza può avere effetti benefici sullo sviluppo del sistema nervoso embrio-fetale. In cucina alcune pratiche erronee possono portare alla contaminazione del cibo con sostanze tossiche particolarmente dannose per il concepito; ad esempio, la cottura eccessiva di alimenti contenenti grassi (bistecche grigliate e pizza), produce idrocarburi policiclici aromatici (IPA), sostanze cancerogene e teratogeni.

Sale e acido folico Un consumo elevato di sale aumenta il rischio di malattie cardiovascolari e ipertensione. “Durante la gravidanza è ancora più importante ridurre l’assunzione di sale e preferire quello iodato – consiglia Grassi – poiché il fabbisogno di iodio è maggiore in questo periodo. L’integrazione di acido folico dovrebbe iniziare almeno alcuni mesi prima del concepimento e continuare per tre mesi dopo, poiché un basso livello di folati nella madre è un fattore di rischio per difetti del tubo neurale nel feto”.

L’alimentazione durante la gravidanza è fondamentale per la salute sia della madre che del nascituro. “È essenziale prestare attenzione alla dieta sin dal periodo pre-concepimento e mantenerla adeguata fino al termine dell’allattamento, ma è necessario farlo con consapevolezza, comprendendo i rischi associati a un’alimentazione che potrebbe non essere del tutto appropriata per la salute della madre e del nascituro”, conclude il dottor Grassi.

Fonte: askanews.it

E dire no alle liste di attesa

Il Governo corre ai ripari e lo scorso 16 luglio ha emanato un decreto legge per la creazione di un Cup Regionale. Sul piatto, l’annosa questione delle interminabili liste di attesa negli ospedali pubblici. Ma, sempre in attesa del successivo passaggio in Senato, il problema rimane inalterato. E i numeri, (emersi da un sondaggio realizzato da Facile.it e Prestiti.it su un campione di oltre 400.000 domande), parlano chiaro: è di oltre 1 miliardo di euro il valore dei prestiti personali erogati agli italiani nel 2023 per far fronte alle spese mediche. La salute ha un costo e chiedere un finanziamento per sostenere le spese sanitarie è una pratica sempre più diffusa. Lo scorso anno, il peso percentuale di questi prestiti, è aumentato del 6,6% rispetto all’anno precedente.

“I costi per gli esami medici, gli interventi chirurgici e le visite di controllo – spiega Andrea Di Vincenzo, Ceo di Prestiter – non sono sempre accessibili e spesso diventano ulteriore fonte di stress e disagio, in situazioni già delicate. In questi casi, per tutelare la salute e il benessere personale e familiare, sempre più italiani ricorrono a istituti come il nostro. Ogni loro richiesta cela una storia che ci coinvolge emotivamente, soprattutto quando veniamo a conoscenza che questo denaro è determinante per sostenere delle cure ‘importanti’. Partecipare al miglioramento della salute di un marito, di una moglie o di un figlio, per noi ha un valore umano infinitamente grande. Parlo di cure per i familiari perché è bene specificare che chi ne fa richiesta debba godere di ‘buona salute'”.

Ma i prestiti personali per far fronte alle cure sanitarie abbracciano una vasta tipologia di ambiti. Spesso gli italiani ne fanno richiesta anche per migliorare il proprio benessere fisico, estetico e psicologico. “Abbiamo molte testimonianze pervenute dai nostri agenti per delle richieste utili nel sostenere dei trattamenti fisioterapici e riabilitativi. Soprattutto ci informano che molto spesso gli italiani devono sostenere delle cure dentistiche e odontoiatriche. Queste ultime, si sa, riguardano importi di migliaia di euro e incidono moltissimo sul bilancio familiare”.

Ma chi sono i connazionali che ne fanno richiesta? Quasi 1 domanda su 4 (24,9%) proviene dalla fascia anagrafica 45-54 anni; seguita da chi ha tra i 35 e i 44 anni (20,9%). Al terzo posto, invece, ci sono gli italiani che hanno un’età compresa tra i 55 e i 64 anni (18,6%).

Le donne, poi, sono quelle che ne fanno maggiore richiesta (42,8%). E da dove provengono maggiormente le richieste? Le regioni dove il peso percentuale è maggiore sono la Sardegna (5,33%), le Marche (5,14%) e la Liguria (5,12%).

Ma nonostante siano in molti a farne richiesta, altri ancora non sanno a chi rivolgersi. Proviamo a fare un po’ di chiarezza. Per ottenere un finanziamento medico esistono principalmente due possibilità ma la base di partenza, come detto, è che il richiedente goda di “buona salute”. La prima è il prestito finalizzato che viene erogato direttamente dalle cliniche o dalle strutture dove si effettuano le cure. “Il vantaggio – spiega Di Vincenzo – è che la pratica è molto veloce, la somma finanziata viene immediatamente riconosciuta e l’utente paga le rate del prestito secondo quanto previsto dal piano di rimborso”. Il secondo caso, invece, è il prestito per liquidità, accordato da banche o finanziarie senza l’intervento della struttura medica. “Trattandosi di un prestito non finalizzato – chiarisce Di Vincenzo – il cliente non è obbligato a dichiarare il motivo della richiesta, tutelando di fatto la sua privacy. In più, poiché il finanziamento è svincolato dall’intervento sanitario, c’è la possibilità di ottenere somme più elevate di quelle necessarie per il trattamento, decidendo in completa autonomia come investire il credito ottenuto”.

In conclusione, dall’analisi realizzata dai due siti di comparazione, emerge un altro dato interessante. Se è pur vero che le domande sono aumentate, si è abbassata la richiesta che, in media, è di circa 6.152 euro. Questa diminuzione dell’importo può essere messa in relazione col fatto che ci si rivolga alla sanità privata anche per visite o esami mediamente meno costosi come, appunto, i trattamenti odontoiatrici.


Fonte: askanews.it

Emerge da studio Campus Bio-Medico e Istituto Auxologico Italiano

Dopo 24 mesi di trattamento con stimolazione magnetica cerebrale transcranica statica, oltre il 70% dei pazienti con Sclerosi Laterale Amiotrofica (Sla) è sopravvissuto senza necessità di ricorrere alla ventilazione meccanica, a fronte del 35% dei pazienti che non avevano ricevuto questo trattamento: è il dato più rilevante che emerge da uno studio della Fondazione Policlinico Universitario Campus Bio-Medico e della Fondazione Irccs Istituto Auxologico Italiano.

Una nuova tecnica non invasiva, si legge in una nota delle due fondazioni, in grado di modulare attraverso l’utilizzo di campi magnetici l’eccitabilità delle cellule nervose correggendo l’ipereccitabilità che porta a morte i neuroni motori nei pazienti con Sla. Anche se le cause di questa patologia sono ancora sconosciute, recenti ricerche hanno infatti dimostrato che un’eccessiva risposta agli impulsi eccitatori da parte delle cellule nervose che controllano il movimento può innescare il processo degenerativo.

Lo studio dei ricercatori della Fondazione Policlinico Universitario Campus Bio-Medico, guidati dal professor Vincenzo Di Lazzaro, e dei colleghi della Fondazione Irccs Istituto Auxologico Italiano, guidati dal professor Vincenzo Silani, è stato pubblicato sulla prestigiosa rivista Lancet Regional Health Europe.

L’approccio impiegato in questa ricerca utilizza la stimolazione magnetica non invasiva al posto dei farmaci – per questa ragione chiamata elettroceutica – e viene studiato nella Sla dal gruppo diretto dal professor Di Lazzaro da oltre venti anni. Diversi studi preliminari hanno dimostrato che è possibile ottenere un lieve ma significativo rallentamento della progressione di malattia. Recentemente è stata introdotta una nuova forma di elettroceutica che utilizza un campo magnetico di tipo statico (si tratta di un potente magnete) la quale, per la sua semplicità di impiego, può essere utilizzata direttamente dai pazienti a domicilio, quotidianamente e per periodi prolungati. In uno studio preliminare la stimolazione magnetica statica è stata sperimentata in due pazienti con una forma di Sla a rapida evoluzione, nei quali si è osservato un significativo rallentamento della progressione di malattia.

Sulla base di questa preliminare esperienza nel 2019, è stato avviato l’attuale studio, che ha coinvolto 40 pazienti affetti da Sla con l’obiettivo primario di valutare se la stimolazione sia in grado di ridurre la progressione di malattia durante un periodo di trattamento di 6 mesi. Al termine di tale periodo non si è osservato un significativo cambiamento nella velocità di progressione della malattia. Tuttavia, i ricercatori e, soprattutto, i pazienti non si sono arresi e lo studio è proseguito per ulteriori 18 mesi, al termine dei quali i risultati osservati, al contrario di quelli emersi nel breve periodo, appaiono estremamente promettenti.

“Si tratta di una differenza significativa che ci fa essere ottimisti, ma che deve essere considerata con prudenza. Infatti, quando uno studio non raggiunge l’obiettivo primario, ma l’evidenza di efficacia emerge da una prosecuzione del medesimo in una modalità cosiddetta in aperto, sono necessarie ulteriori conferme. Quindi, anche se i risultati ci rendono decisamente ottimisti, non possiamo concludere di aver trovato la cura della SLA. Possiamo tuttavia affermare con sicurezza che sono pienamente giustificati ulteriori studi che valutino l’efficacia della stimolazione magnetica statica in un maggiore numero di pazienti e con un periodo di trattamento prolungato” ha sottolineato il direttore della Neurologia della Fondazione Policlinico Universitario Campus Bio-Medico, Vincenzo Di Lazzaro.

“In un momento difficile per il recente insuccesso di diversi trial farmacologici verso cui erano state riposte molte speranze per la forma sporadica di SLA, questo studio apre un’inattesa prospettiva positiva per i pazienti. L’elettroceutica si dimostra oggi una componente imprescindibile per una combinazione terapeutica che molti ritengono rappresentare la soluzione definitiva per una malattia caratterizzata da diversi momenti patogenetici. Le future strategie terapeutiche dovranno adeguatamente tenere in conto i dati oggi prodotti con questo studio” ha aggiunto il direttore del Dipartimento di Neuroscienze della Fondazione Irccs Istituto Auxologico Italiano – Centro “Dino Ferrari”, Università degli Studi di Milano, Vincenzo Silani.


Fonte: askanews.it